Quattro tazze di tempesta, Federica Brunini, Feltrinelli, 2016 – Recensione

Qualche giorno fa sono stata alla presentazione di Quattro tazze di tempesta, di Federica Brunini, per Giangiacomo Feltrinelli, un romanzo, fresco e attuale, che racconta dell’evoluzione di quattro amiche, ognuna in preda alla sua personale “tempesta”.

Quattro tazze di tempesta. Ho letto il romanzo  d’un fiato dopo la presentazione alla Fondazione Feltrinelli. Quattro tazze di tempesta sembra un romanzo da ragazze, e, davvero, lo è. Lo è nel senso migliore: ci ricorda che noi donne abbiamo  una capacità creatrice che può salvarci la vita durante le tempeste. Siamo, per esempio,  in grado di creare amicizie durature: come l’amicizia tra quattro donne, molto diverse, ma amiche da vent’anni, protagoniste del romanzo. Siamo creatrici di una femminilità sfaccettata: spirituale, come Chantal, coraggiosa, come Viola, pro-attiva e decisionista come Alberta e efficente e materna come Mavi. Siamo capaci di reinventarci dopo un fallimento di lavoro, d’amore, o, come Alberta, delle aspettative che ognuna di noi nutre verso se stessa. Siamo creatrici dei bilanci che arrivano insieme all’ingresso nei quaranta anni, come Viola, che, si occupa di tutto con amore ma riserva per se stessa il trattamento più severo giudicandosi per ogni ruga. Il romanzo descrive, con ironia, la poca indulgenza che le donne hanno verso se stesse e il cambiamento del proprio corpo giunte ai quaranta: e come non ritrovarsi in questo sguardo spietato verso se stesse? Ce l’abbiamo tutte ogni volta che, davanti a uno specchio, ci critichiamo senza sosta.

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Il corpo femminile Sono molto sensibile al tema dell’accettazione del proprio corpo perchè in prima persona ho avuto e ho qualche problemino nell’amarmi così come sono e nell’accettare il cambiamento inesorabile. Mi è piaciuto il punto di vista dell’artista Diane Goldin. Lei, ormai in menopausa, a partire dal suo corpo arriva in una lunga e toccante intervista -confessione, a tagliare il nodo gordiano: “La cosa più difficile è stata sentirmi degna di questo amore. Perché mi chiedevo perché mi amasse, io che sono un tale pasticcio. Ma mi amava e ancora mi ama.”

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Infine creatività come maternità. Maternità. Una delle protagoniste è madre, le altre tre no. E che durante la presentazione si è parlato molto del fatto che oggi, una donna di 30-40 anni, non madre, sia ancora guardata come una a cui manca qualcosa. Dall’altro canto le madri non fanno altro che lamentarsi dei figli e della mole di lavoro aggiuntiva che questi portano. L’autrice sostiene, inoltre, che non ci sia molto spazio in Italia, per un dibattito sul diventare madre. Questo è stato sicuramente vero ma purtroppo ciò che si vede negli ultimi anni e nelle piazze virtuali del web è uno schieramento tra madri/non madri. Le donne sono schierate una contro l’altra, madre contro non madre. Single contro sposate. Ognuna barricata nelle sue posizioni, ognuna che per qualche motivo invidia la condizione delle altre.

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Un saggio controcorrente. Dopo la presentazione del libro mi sono imbattuta, per caso?, in questo articolo: “Mamme pentite «Se tornassi indietro non farei un figlio». È la maternità come la raccontano molte donne alla sociologa Orna Donath.” Orna Donath è una sociologa israeliana, che ha appena pubblicato un saggio accademico chiamato “Regretting Motherhood” che sta aprendo un dibattito mondiale su un tema finora considerato tabù. Ci si può pentire di tutto, da un tatuaggio a un amore, ma di un figlio mai. Invece queste 23 donne amano i loro figli ma non li rifarebbero assserendo:”il sorriso di mio figlio non mi compensa di tutti gli altri obblighi dell’essere madre”. L’ambiente accademico per ora si distanzia: sono solo le opinioni di 23 donne e lo studio è considerato una provocazione

D.Il suo studio è stato considerato una provocazione. 

R.«L’idea di pentirsi della maternità è stata sovrapposta al concetto dell’ambivalenza del sentimento materno. Le due cose spesso si confondono ma sono estremamente diverse. Negli ultimi vent’anni è stato scritto molto sul secondo aspetto, nulla sul primo. In accademia, ma anche sui social network, la discussione è sempre sull’ambivalenza tra l’amore e il fardello di aver generato di un figlio, tra la voglia di restare e di fuggire. Fino a oggi non c’erano saggi su chi dice senza mezzi termini: “Fatto un bilancio di questa condizione, non ne vale la pena, il sorriso di mio figlio non mi compensa di tutti gli altri obblighi dell’essere madre”. Le polemiche dimostrano che la società fatica ad accettare questa dissacrazione del mito materno». (Leggi tutto l’articolo è qui.)

Questo libro che sta facendo discutere il mondo e, per capire bene come la pensiamo oggi e soprattutto come vogliamo che la pensino le donne di domani, forse abbiamo bisogno di una buona tazza di tè. Per me tè verde, senza zucchero.

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Mrs Fog ha detto:

    Ci sono degli attimi di disperazione, quando mi trovo al limite del fantozziano tra casa, lavoro, figlia e gatta, in cui mi domando perché mi sono messa in questa situazione. Ma sono momenti passeggeri e fisiologici. Come scrivi, mancano spazi di discussione e ognuno rimane arroccato nelle sue posizioni. Invece un confronto sarebbe utile per non mitizzare la maternità ma neppure per caricarla di negatività.

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    1. Una lettrice ha detto:

      Sì, capisco:mi viene in mente il film “Ma come fa a far tutto?”

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  2. Pendolante ha detto:

    In Italia siamo al punto che non si può parlare nemmeno della fatica di essere madre. Vieni additata come strana

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    1. Una lettrice ha detto:

      Eh, lo so ma le cose, stanno lentamente, cambiando. 🙂

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